LA VITE DA VINO
Nella nostra rubrica sul Vino e Dintorni, oggi vogliamo riservare un piccolo spazio alla vite, questa pianta arbustiva rampicante (Vitis Vinifera/Vite Europea), coltivata per la produzione del vino.
Le varietà di viti sono detti vitigni, quali ad esempio Barbera, Bonarda, Cannonau, Nebbiolo, Primitivo, Dolcetto, Raboso, Refosco, Nero d’Avola, Riesling, Vespolina, etc. etc.
Ulteriori classificazioni poi si hanno in base all’utilizzo: da vino o da tavola; a secondo del colore: uva bianca o rossa; del contenuto delle sostanze aromatiche: aromatica (Malvasia, Traminer, Moscato); neutra (Nebbiolo, Bonarda, Barbera, etc.); o semiaromatica (Riesling, Muller-Thurgau, etc).
Per ciò che riguarda invece l’anatomia della vite partiamo dalla radice, che ha la funzione di ancorare la pianta al terreno e consente di assorbire l’acqua e i sali minerali. La sua forma e il suo sviluppo sono influenzati dalla natura del suolo e dal tipo di vitigno; essa in genere si trova a una profondità che varia dai 25 agli 80 cm, con un’espansione laterale di vari metri.
La parte invece che esce dal terreno viene detta epigea e si divide in: fusto, rami, foglie, gemme, fiori e frutti.
Il fusto, detto anche ceppo, ha lunghezze diverse secondo il sistema di allevamento e potatura.
I rami si dividono in branche, tralci o sarmenti e germogli e comprendono anche nodi e meritalli o internodi, che costituiscono la parte compresa fra 2 nodi.
Le foglie sono la sede fondamentale di processi fisiologici quali la respirazione, la traspirazione e la fotosintesi clorofilliana, che consente la fabbricazione di zuccheri, acidi, proteine, vitamine, etc. Sono semplici e a forma pentagonale con 5 lobi (anche 3 o 7) divisi da altrettanti seni; esse ci aiutano a riconoscere i vitigni. La parte superiore è priva di peli, mentre quella inferiore è ricoperta di peli che servono per trattenere l’acqua e la rugiada e svolgono funzioni di coibentazione termica.
Ci sono poi le gemme, che si formano in primavera alle ascelle delle foglie, e si dividono in pronte o estive, ibernanti o dormienti, che si schiudono nella primavera successiva alla loro formazione e originano germogli fertili, e latenti, che possono restare inattive per anni e poi svilupparsi ma comunque formare rami sterili.
I fiori invece sono riuniti in una infiorescenza detta grappolo. Ogni fiore ha 5 petali ed è ermafrodita, cioè costituito dall’apparato femminile e dall’apparato maschile che contiene il polline. Il vento trasporta il polline e determina l’impollinazione, che può derivare anche dagli insetti. Successivamente avviene la formazione del frutto (acino).
Ed eccoci arrivati al frutto, comunemente detto acino, che è botanicamente una bacca. La sua formazione inizia subito dopo l’impollinazione; a questo punto l’ovario inizia ad ingrossare e cresce per altri 2 mesi circa fino alla fase in cui avviene il cambiamento di colore. Da 1-2 mm di diametro passa a 1-2 cm e, dapprima verde ricco di clorofilla, diventa giallo. Nel periodo di colorazione verde, l’acino è duro, consistente e perciò resistente agli attacchi parassitari e alla grandine. In questa fase è ricco di acidi e gli zuccheri scarseggiano. Successivamente non aumenta più di volume ma solo di peso, assorbendo acqua e zucchero con diminuzione di acidi e tannini.
Esso è costituito da:
– buccia o epicarpo, che conferisce colore, sostanze aromatiche e una minima quantità di tannini;
– polpa o mesocarpo, ricca di zuccheri e in misura minore acidi e anche piccole quantità di tannini e sostanze aromatiche;
– semi o vinaccioli (endocarpo), da 2 a 4 per acino, che contengono molto tannino e olio.
Gli acini sono portati dal graspo o raspo che costituisce circa il 15% del peso del grappolo. Quest’ultimo può presentarsi più o meno compatto, con acini molto vicini tra loro oppure più o meno spargolo, cioè con acini più distanziati.
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